Un lavoro condotto da un team tutto modenese di Unimore, coordinato dal prof. Andrea Cossarizza coadiuvato dalle ricercatrici Lara Gibellini e Sara De Biasi, e al quale hanno partecipato la prof.ssa Daniela Quaglino e la dott.ssa Federica Boraldi, spiega, per la prima volta, come nei pazienti con polmonite da COVID-19 alcune cellule dell’immunità innata, i monociti presenti nel sangue periferico, siano alterati e possano diventare disfunzionali andando incontro a un esaurimento metabolico.
Le cause di questa disfunzionalità sono state identificate nelle alterazioni biochimiche e morfologiche dei mitocondri, gli organelli che in tutte le cellule nucleate dell’organismo hanno il compito di produrre energia.
Lo studio, al quale hanno partecipato numerosi medici e ricercatori di Unimore e dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, tra cui i clinici professori Cristina Mussini, Giovanni Guaraldi, Marianna Meschiari, Massimo Girardis e Stefano Busani, ha suscitato l’interesse della comunità scientifica internazionale ed è stato appena pubblicato (20 ottobre) sulla prestigiosa rivista EMBO Molecular Medicine.
Fin dai primi momenti dell’emergenza sanitaria, il gruppo modenese è stato impegnato nell’identificazione dei meccanismi immunopatogenetici alla base dell’infezione da SARS-CoV-2, nella ricerca di nuovi bersagli terapeutici e nell’analisi delle problematiche legate alle vaccinazioni. Questo studio segue, infatti, i precedenti lavori scientifici pubblicati su prestigiose riviste (tra cui Nature Communications, Lancet Rheumatology, European Journal of Immunology e Lancet) in cui, tra l’altro, si identificava il profilo immunologico dei pazienti con polmonite causata da SARS-CoV-2 e si descriveva come alcuni tipi di linfociti T e B, i principali componenti dell’immunità adattativa, si distribuissero in modo anomalo nel sangue periferico dei pazienti e presentassero diverse alterazioni, tra cui una specie di esaurimento funzionale. La ricerca è quindi proseguita per identificare i meccanismi molecolari di questo fenomeno.
I protagonisti della nuova scoperta sono i monociti, ovvero i globuli bianchi che danno inizio all’infiammazione, uno dei processi chiave di ogni risposta immunitaria. Nel sangue periferico ci sono vari tipi di monociti che hanno funzioni diverse. Nei pazienti con polmonite causata COVID-19 si assiste ad una redistribuzione di queste cellule, con un aumento dei monociti pro-infiammatori, una diminuzione dei cosiddetti monociti “classici” e un aumento delle forme circolanti immature, ovvero cellule che sono state rilasciate precocemente dal midollo osseo, che non hanno completato il processo di maturazione e non funzionano correttamente.
Nello studio si descrive anche come una quota rilevante dei monociti analizzati esprima elevati livelli di due proteine, note come PD-1 e PD-L1, che inducono lo spegnimento delle risposte immunitarie. Inoltre, è stata osservata anche un’alterata produzione di alcune molecole presenti nel plasma, come l’osteopontina, i cui livelli e ruolo non erano mai stati studiati nei pazienti COVID-19.
I dati molecolari ottenuti evidenziano come la maggior parte dei monociti sia disfunzionale, a causa di una loro ridotta attività metabolica dovuta alle alterazioni che riguardano i mitocondri che sono la sede dei principali processi metabolici che sottendono alla funzionalità cellulare.
La scarsa funzionalità monocitaria è di particolare rilevanza se si pensa che i monociti hanno varie funzioni tra cui non solo far vedere gli antigeni ai linfociti e attivare la risposta immunitaria, ma anche migrare dal sangue ai tessuti, compreso il tessuto polmonare, dove si trasformano in macrofagi che sono cellule specializzate nell’eliminazione dei patogeni.
“Sulla base di questo studio – spiega il prof. Andrea Cossarizza di Unimore – è dunque possibile ipotizzare che nei polmoni dei pazienti che sviluppano una malattia grave arrivino dei monociti disfunzionali, non in grado di risolvere immediatamente l’infezione. Aver identificato le alterazioni mitocondriali presenti in queste cellule ci permette non solo di capire meglio la patogenesi della malattia causata dal virus, ma anche di pensare ad approcci terapeutici integrati che tengano conto dell’alterato aspetto bioenergetico mitocondriale e cellulare”.
“Vorrei infine ricordare, – conclude il prof. Andrea Cossarizza di Unimore – che lo studio è stato finanziato da un progetto del Ministero della Salute, da BPER, Glem Gas, Rotary e Sanfelice 1873 Banca Popolare, e da numerosissimi cittadini che hanno effettuato donazioni, e che ringraziamo di cuore”.