“Una faccia, una razza”, così raccontano gli oste grechi ai turisti italiani che passeggiano tra le vie delle isole elleniche.
Vera o no tale affermazione, sul fronte economico ho sempre pensato che l’Italia molto probabilmente non cadrà facilmente in una crisi come quella greca. Tuttavia non significa che una crisi non sia in atto, io la definisco volgarmente “argentinizzazione”, prendendo spunto da un vivace economista come Michele Boldrin. Un’economia in lento declino, differenze sociali sempre più ampie, quartieri ricchi alle porte di quartieri difficili e differenze abissali tra le varie regioni del paese.
L’autonomia differenziata, così come proposta dal Ministro Calderoli, sarebbe la riforma definitiva in grado di far diventare l’Italia un paese di 20 piccoli stati, gli Stati Uniti d’Italia. Suggestivo per certi versi, ma attuabile solo nella realtà di chi pensa che una singola regione di 4/5 o al di più 10 milioni di abitanti possa competere singolarmente con il mondo, fatto di regioni cinesi grandi come il doppio dell’Italia intera.
Le riforme in un paese non possono non partire dalla storia economica e sociale dello stesso.
L’Italia repubblicana guidata da democristiani, socialisti e dal pentapartito e anche le regioni guidate dal PCI, hanno fatto del centralismo dello stato un elemento fondamentale.
Giusto o sbagliato? Né giusto, né sbagliato, ma è un dato di fatto. L’autonomia non é il male assoluto, anzi, l’Italia avrebbe bisogno di delegare agli enti locali alcune materie che lo stato non potrà mai seguire direttamente, per lapalissiani motivi organizzativi: politiche per la formazione lavorativa, politiche di assistenza sociale territoriale, politiche per l’accesso allo studio, politiche urbanistiche per le infrastrutture non strategiche e la lista si può ancora allungare.
Tuttavia serve conoscere e riconoscere cosa accadde nel 2001 con la riforma del Titolo V, che regionalizzò la sanità e guardare con attenzione la realtà della sanità odierna, per sapere cosa ci aspetterà quando oltre ad avere 21 sistemi sanitari regionali, avremo 21 sistemi scolastici regionali o poco meno.
L’autonomia differenziata si gioca tutta sulla scuola, è il colpo grosso per le regioni, miliardi di euro in bilancio tra personale e risorse dedicate.
L’errore alla base si ripeterebbe, un fondo nazionale suddiviso per popolazione, strutture e bisogni e le macchine regionali a gestire il tutto. Il risultato? Le pesanti e logorate macchine burocratiche del sud e le difficili aree interne del nord e del centro pagheranno l’incapacità organizzativa con servizi pessimi e la difficoltà a reperire docenti disponibili. Le medie-grandi città del centro e del nord saranno inondate di risorse, come con il PNRR d’altronde.
Il fatto più bizzarro riguarda il federalismo fiscale, al centro di mille polemiche da sempre, ma che poco a che fare con la situazione del Sud, la Sicilia ne è l’esempio perfetto, essendo una regione autonoma.
La capacità fiscale, molto probabilmente, non sarebbe comunque delegata alle regioni, quindi le stesse manterrebbe un’addizionale Irpef, l’Irap e altri tributi che ancora oggi finanziano il resto del bilancio regionale o integrano quello riguardante le politiche socio-sanitarie. La conseguenza? Trattative feroci tra presidenti di regione e governo per ottenere qualche risorsa in più degli altri.
In conclusione, laddove il federalismo fiscale ha funzionato meglio, nei comuni, la situazione non sarebbe così drammatica se lo Stato non continuasse a tagliare risorse, ma anche qui gli effetti del federalismo si fanno sentire. I posti nido nei comuni emiliani sono quasi il 40%, in quelli calabri il 5%. Che avesse forse ragione Indro Montanelli? L’Italia è un paese di contemporanei senza antenati, né posteri, perché senza memoria.
Davide Nostrini (Italia del Futuro)