L’interesse mediatico sulla situazione di Bologna dal punto di vista della vivacità urbana è molto alto, comprensibilmente. Negli ultimi mesi, il nome del capoluogo è finito più volte nell’occhio del ciclone per via di una generale desertificazione frutto del dilagare degli affitti brevi e dei b&b.
Situazione comune in molte città turistiche, Roma compresa, soprattutto se si parla del centro storico, si contraddistingue anche per una progressiva perdita di quota del numero di negozi.
I dati del primo trimestre dell’anno in corso parlano chiaro e fanno pensare. Nello specifico, sono state 383 le insegne che si sono spente, con numeri in contrazione dell’1,9% rispetto al 2023.
Le richieste delle associazioni
Queste cifre, che possono essere definite, a ragione, il colpo di coda di circa un lustro all’insegna della chiusura delle piccole botteghe di quartiere, che hanno fatto invece posto a ristoranti e bar, preoccupano molto le associazioni di commercianti.
A dimostrazione di ciò è possibile menzionare l’appello, risalente allo scorso maggio, da parte di Confesercenti Bologna. I suoi rappresentanti, in occasione della festa del lavoro, hanno formulato all’esecutivo Meloni richieste specifiche per quanto riguarda sia l’alleggerimento del cuneo fiscale, sia la riduzione degli adempimenti burocratici che, a prescindere dal settore in cui si opera, spettano a tutti i negozianti dal momento in cui decidono di aprire.
Tra le altre richieste, è possibile menzionare la riduzione del canone concordato per le locazioni, così come la parità di tassazione con i colossi che operano online e che, tra comodità nella consegna e reso, stanno sbaragliando la concorrenza dei punti vendita fisici in diverse zone d’Italia.
Un’ulteriore richiesta, formulata però alla Regione, chiama in causa i finanziamenti legati alla legge locale 12/2023, che prevede l’istituzione di quelli che, dal punto di vista tecnico, sono noti come hub urbani.
Si tratta di distretti commerciali di vicinato che si pongono proprio l’obiettivo di rianimare le città, in particolare il capoluogo (se stai pensando di investire in questa piazza che, al di là delle criticità, rimane comunque molto promettente, qui troverai una lista di immobili commerciali in vendita a Bologna).
Confesercenti, nei mesi scorsi, si è rivolta anche ai candidati sindaco dei Comuni nella città metropolitana bolognese. Ha chiesto, in vista delle consultazioni amministrative della scorsa primavera, a chi si è messo in gioco di non dimenticare il commercio nell’ambito del proprio programma elettorale.
La situazione a livello regionale: quanti negozi hanno chiuso negli ultimi anni?
Abbiamo parlato di Bologna e, adesso, è arrivato il momento di accendere i riflettori sulla situazione nel resto della Regione. Quanti negozi hanno chiuso negli ultimi anni? In un decennio, si parla della perdita di circa 4000 insegne su tutto il territorio regionale.
Secondo gli esperti, i principali responsabili sono i cambiamenti legati al settore turistico, con la riduzione del numero di alberghi e il conseguente aumento esponenziale di b&b e strutture deputate agli affitti brevi.
Secondo un’indagine condotta dall’Ufficio Studi di Confcommercio, nelle prime dieci città della Regione è stato possibile notare, per quanto riguarda le imprese che operano nel settore del commercio al dettaglio, una riduzione notevole, con un saldo in passivo superiore alle 3500 unità.
A non essere interessati da questo calo drastico ci sono diversi esercizi. Tra questi, è possibile chiamare in causa le farmacie, che nell’ultimo decennio hanno fatto registrare un saldo positivo delle aperture pari a 106 e i negozi specializzati in informatica e telecomunicazioni, con un attivo di 80 unità.
Crescono anche i numeri dei ristoranti, soprattutto nei centri storici delle città. Diminuiscono invece i bar. Nell’arco di due lustri, sono stati complessivamente 887 gli esercizi che, nelle prime dieci città dell’Emilia Romagna, hanno abbassato per sempre le loro saracinesche.