Covid, per i genitori che lavorano nei servizi pubblici essenziali è ora impossibile prendersi cura dei figli che rimangono a casa



 

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La Regione Emilia Romagna a fronte del progressivo aumento di contagi da Covid 19 riscontrato nelle ultime settimane ha deciso di collocare in zona rossa la città metropolitana di Bologna, le provincie di Modena, Ravenna, Rimini, Forlì-Cesena e in zona arancione scuro la provincia di Reggio Emilia, decidendo così di assumere misure più restrittive di quelle assunte dal Governo.

La sospensione dei servizi educativi e per l’infanzia, nonché  la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado è uno degli effetti che con più pesantezza ricadono sulle famiglie per  ragioni della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e sui bambini e ragazzi riguardo il diritto alla socialità e all’istruzione.

Non è in discussione la scelta restrittiva di fronte alla crescita dei contagi e all’aumento dei ricoveri negli ospedali, tuttavia è necessario che dal momento in cui si chiedono sacrifici così pesanti ai cittadini sia doveroso predisporre ogni misura possibile per il contemperamento dei diversi diritti.

Riteniamo che, in questo caso, la Regione non abbia fatto del suo meglio, anzi ha contribuito a determinare tra i genitori che lavorano nei servizi pubblici essenziali indispensabili, a partire dalla sanità, l’impossibilità di prendersi cura dei figli che rimangono da oggi a casa; bimbi anche in tenerissima età.

Stiamo parlando di mamme e papà impegnati in servizi pubblici essenziali, ma anche di quelle lavoratrici e lavoratori che non possono abbandonare il proprio posto di lavoro ne svolgerlo con la modalità del telelavoro.

Perché la Regione non ha fatto del suo meglio? La risposta la si trova nei contenuti del “Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione” che è recepito nel Decreto Ministeriale 26 giugno 2020, n. 39, Piano Scuola 2020/21, dove è testualmente scritto: ”Nel caso di nuova sospensione dell’attività didattica l’Amministrazione centrale, le Regioni, gli Enti locali, gli enti gestori delle istituzioni scolastiche paritarie e le istituzioni scolastiche statali opereranno, ciascuno secondo il proprio livello di competenza, per garantire la frequenza scolastica in presenza, in condizioni di reale inclusione, degli alunni con disabilità e degli alunni e studenti figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori, le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione. La circostanza di cui al presente paragrafo sarà regolata da apposito atto dispositivo”.

Questa disposizione è stata confermata dalla nota del Ministero della Pubblica Istruzione del 4 marzo, che sostanzialmente conferma, ciò che già aveva affermato a novembre, e cioè che: ”Nell’ambito di specifiche, espresse e motivate richieste, attenzione dovrà essere posta agli alunni figli di personale sanitario (medici, infermieri, OSS, OSA…), direttamente impegnato nel contenimento della pandemia in termini di cura e assistenza ai malati e del personale impiegato presso altri servizi pubblici essenziali, in modo che anche per loro possano essere attivate, anche in ragione dell’età anagrafica, tutte le misure finalizzate alla frequenza della scuola in presenza”.

Aggiungiamo che questo Decreto ministeriale è stato persino richiamato negli allegati al nuovo DPCM del governo “Draghi” a conferma a nostro giudizio che è ancora del tutto applicabile.

La Regione invece cosa fa? Il 6 marzo insieme ad ANCI, manda una richiesta di chiarimenti al Governo sostenendo che non vi sarebbero solide basi giuridiche per garantire la didattica in presenza ai figli di chi, per esempio è impegnato nei reparti ospedalieri per assistere i malati oppure altri addetti a servizi essenziali ed indispensabili per i cittadini che debbono per forza operare nei luoghi di lavoro. Si pensi a quei genitori impiegati in prima linea in attività di contrasto alla pandemia.

E’ ora che chi decide si assuma anche la responsabilità di individuare criteri per scegliere le categorie di lavoratori definiti essenziali e che hanno bisogno di essere aiutate, ma bisognava farlo ieri non, forse, dopodomani.

Invece, affermando che non vi sono basi giuridiche per prendersi carico delle famiglie dei lavoratori dei servizi pubblici essenziali, si mette in discussione anche ciò che sarebbe chiaro almeno per il personale dei servizi sanitari esplicitamente citati, il quale anche in caso di introduzione di congedi straordinari ne potrà usufruire solo subordinandoli alle necessità assistenziali. La ratio della possibilità della didattica in presenza era ed è legata al fatto che la collettività ha necessità che tutti i sanitari siano presenti nei luoghi di lavoro.

La decisione di collocare in zona rossa le Provincie di Bologna, Modena, Ravenna, Rimini, Forlì-Cesena e in arancione scuro Reggio Emilia è stata adottata dalla Regione che deve a questo punto assumere decisioni conseguenti in ordine alle criticità che derivano dalla chiusura delle scuole per gli operatori sanitari, i lavoratori impegnati nei servizi essenziali e tutti gli altri lavoratori, ad oggi infatti latita anche l’annunciato da tempo Decreto Legge sui voucher baby sitter e congedi straordinari.

Ci si affretti ad individuare misure di sostegno per tutte le categorie impiegate per la tutela della salute e sicurezza.

(CGIL CISL UIL EMILIA ROMAGNA)