Reggio Emilia ha ricordato questa mattina il 77° anniversario della morte di Agostino, Aldo, Antenore, Ettore, Ferdinando, Gelindo e Ovidio, i sette fratelli Cervi, e di Quarto Camurri nel giorno in cui ricorre l’anniversario del loro eccidio, accaduto il 28 dicembre 1943, per mano dei fascisti, nel poligono di tiro cittadino. La cerimonia, alla quale hanno preso parte il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi e la presidente Istituto Alcide Cervi Albertina Soliani si è svolta al Poligono di Tiro di Reggio Emilia, senza pubblico nel rispetto della normativa anti Covid, ed è stata trasmessa in diretta sulle pagine Facebook dell’Istituto Cervi e del Comune.
“Il ricordo del sacrificio dei sette Fratelli Cervi e di Quarto Camurri che celebriamo questa mattina – ha detto il sindaco Luca Vecchi – è un appuntamento che si ripete da 77 anni e quest’anno acquista un significato ancora più sentito ed emotivamente partecipato per ciò che è stato e ha rappresentato il 2020 non solo per Reggio Emilia ma per l’Italia e il mondo intero. Questo eccidio non rappresenta solo la vicenda umana e drammatica di una famiglia ma di una collettività, tanto da divenire parte integrante della storia e della memoria della nostra comunità. Vi è, infatti, un intreccio profondo tra il dramma famigliare dei fratelli Cervi, le tragedie collettive, l’epopea della Resistenza e l’evoluzione di un popolo che, anche in questi episodi, ha forgiato la propria identità e il proprio senso di appartenenza. C’è un fil rouge che lega questa storia umana e le vicende dell’antifascismo e della Liberazione con ciò che siamo oggi, qui a Reggio Emilia, in Italia e in Europa. Noi siamo ciò che siamo in funzione di quanto è accaduto 77 anni fa e di quel lungo percorso che ha costruito la nostra reggianità o, se vogliamo, la nostra emilianità. Un patrimonio di valori fondati sull’educazione, l’ospitalità, la generosità, l’apertura al diverso e l’aspirazione al progresso, anche tecnologico, di cui la famiglia Cervi fu espressione. La storia di Alcide Cervi e Genoveffa Cocconi e dei loro sette figli ci parla della cultura del lavoro, del legame con la terra, dell’intraprendenza contadina ma anche e soprattutto di diritti umani, di legalità, del significato di una società aperta e colta che vuole costruire giorno per giorno la propria dimensione locale senza prescindere da quella globale. È una vicenda orientata all’emancipazione e all’innovazione in ambito sociale, lavorativo e culturale, una storia che parla di accoglienza nei confronti dei reduci, dei militari italiani e stranieri che erano allo sbando e, ovviamente, dei partigiani a cui diedero il loro pieno sostegno. Casa Cervi fu luogo principe dell’inclusione per chi aveva bisogno, nel nome di una convivenza civile e nell’accettazione della diversità. Valori che sono tipici della nostra terra e che dovrebbero essere la guida e il punto di riferimento per affrontare i grandi temi globali del nostro tempo, come le migrazioni. È questa l’eredità più importante che ci insegna il sacrifico dei fratelli Cervi e di Quarto Camurri, così come la tragedia dei Martiri di Villa Sesso, la storia di Don Pasquino Borghi e le tante drammatiche esperienze dell’antifascismo e della Resistenza che hanno segnato la storia del Novecento fino al 7 luglio 1960. Tanti momenti fondamentali di una storia collettiva che ci ha reso ciò che siamo oggi e che rappresentano quella memoria del passato che continuerà ad orientarci nel futuro, al di là dei campanilismi o, peggio, dei nuovi populismi e nazionalismi. Reggio Emilia è stata e continua ad essere una terra aperta, un luogo inclusivo, esattamente come lo fu Casa Cervi”.