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“Lo chiamavano Jeeg Robot” apre a Nonantola le proiezioni dell’11esima edizione del Film Festival

Con la proiezione ad ingresso gratuito di “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti – opera prima del 41enne regista attore compositore e produttore romano, vincitrice di 7 David di Donatello e di 2 Nastri d’argento nel 2016  – prendono il via ufficialmente domani venerdì 28 aprile alle ore 21.00 le proiezioni alla Sala Cinema Massimo Troisi di Nonantola nell’ambito dell’undicesima edizione del Nonantola Film Festival, organizzato dall’omonima associazione affiliata Arci.

Il film – interpretato nei ruoli principali da Claudio Santamaria, Luca Marinelli, l’esordiente Ilenia Pastorelli e Antonia Truppo vincitrice del David 2016 come Miglior Attrice Non Protagonista – è stato un grande successo di critica e di pubblico, riportando in auge un ‘genere’ (in questo caso quello d’azione e dei supereroi) come non accadeva da anni nel cinema italiano (unico altro esempio recente “Il ragazzo invisibile” di Gabriele Salvatores nel 2014).

Enzo Ceccotti non è nessuno, vive a Tor Bella Monaca e sbarca il lunario con piccoli furti sperando di non essere preso. Un giorno, proprio mentre scappa dalla polizia, si tuffa nel Tevere per nascondersi e cade per errore in un barile di materiale radioattivo. Ne uscirà completamente ricoperto di non si sa cosa, barcollante e mezzo morto. In compenso il giorno dopo però si risveglia dotato di forza e resistenza sovraumane. Mentre Enzo scopre cosa gli è successo e cerca di usare i poteri per fare soldi, a Roma c’è una vera lotta per il comando, alcuni clan provenienti da fuori stanno terrorizzando la città con attentati bombaroli e un piccolo pesce intenzionato a farsi strada minaccia la vicina di casa di Enzo, figlia di un suo amico morto da poco. La ragazza ora si è aggrappata a lui ed è così fissata con la serie animata Jeeg Robot da pensare che esista davvero. Tutto sta per esplodere, tutti hanno bisogno di un eroe.

Quello tentato da Gabriele Mainetti è un superhero movie classico, con la struttura, le finalità e l’impianto dei più fulgidi esempi indipendenti statunitensi. Pensato come una “origin story” da fumetto americano degli anni ’60, girato come un film d’azione moderno e contaminato da moltissima ironia che non intacca mai la serietà con cui il genere è preso di petto, “Lo chiamavano Jeeg Robot” si muove tra Tor Bella Monaca e lo stadio Olimpico, felice di riuscire a tradurre in italiano la mitologia dell’uomo qualunque che riceve i poteri in seguito a un incidente e che, attraverso un percorso di colpa e redenzione, matura la consapevolezza di un obbligo morale. Il risultato è riuscito oltre ogni più rosea aspettativa, somiglia a tutto ma non è uguale a niente, si fa bello con un cast in gran forma scelto con la cura che merita ma ha anche la forza di farlo lavorare per il film e non per se stesso.

 

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